Una delle attività di ricerca svolte al Laboratorio di Preistoria, Protostoria ed Ecologia Preistorica è quella dell’archeobotanica. La responsabile delle ricerche è Barbara Proserpio, archeologa preistorica e archeobotanica, attualmente dottoranda presso L’Universidad del Pais Vasco. Del gruppo di ricerca fa parte anche Gianluca Simonini, archeologo preistorico e archeobotanico.
Questa disciplina si occupa dell’analisi dei resti vegetali rinvenuti negli scavi archeologici. Il fine generale di questa disciplina è quello di affrontare il tema della coevoluzione dei rapporti tra uomo e piante che nello specifico si declina in aspetti molto diversi come l’alimentazione, l’origine e l’evoluzione della domesticazione delle specie vegetali, la ricostruzione del paleoambiente e del paleoclima, usi economici e tecnologici delle piante nonché l’evoluzione del paesaggio e molto altro ancora.
L’archeobotanica, più che una singola disciplina, risulta essere un insieme di tecniche e analisi che, mutuate dal mondo delle scienze naturali, vengono applicate all’archeologia. I resti vegetali ritrovabili in contesti archeologici risultano avere infatti diversa natura e di conseguenza l’archeobotanica ha la necessità di suddividersi in numerose sottodiscipline:
- Studio dei carboni di legna (Antracologia);
- Studio dei resti lignei (Xilologia);
- Studio dei semi, frutti, tuberi e di tutti i macroresti che non sono carboni di legna (Carpologia);
- Studio di polline, spore e palinomorfi non pollinici (Palinologia);
- Studio dei fitoliti.
Ogni sottodiciplina, utilizza metodologie che permettono di identificare ogni resto vegetale a diversi livelli tassonomici (specie, genere o famiglia). Una volta identificati, si passa all’interpretazione dei dati ottenuti al fine di comprendere cosa queste informazioni possono dirci sul sito, sui metodi di sussistenza dei suoi abitanti e sul paleoclima.
Archeobotanica: analisi carpologiche e antracologiche

Per quanto riguarda gli studi archeobotanici, fino ad ora presso il PrEcLab si sono svolte prevalentemente analisi carpologiche e antracologiche, sebbene sia da menzionare l’importante collaborazione intrapresa con il Laboratorio di Palinologia e Paleobotanica dell’Università di Modena e Reggio Emilia riguardo le analisi dei campioni pollinici provenienti da alcuni saggi del sito di Colombare di Negrar.
Entrambe queste discipline studiano i cosiddetti “macroresti” botanici, ossia i resti di origine vegetale che possono essere individuati a occhio nudo o comunque tramite l’ausilio di piccoli ingrandimenti (da 6x a 40x).
Mentre l’antracologia si delinea come la sottodisciplina che studia i carboni di legna, in archeobotanica il termine “carpologia” viene comunemente utilizzato per indicare una vastissima gamma di materiali, ossia i carporesti, che comprendono soprattutto semi e frutti, ma in generale includono al loro interno tutte le parti di una pianta che possono essere conservate in un contesto archeologico.
Al fine di ottenere dati precisi e attendibili e agevolare il loro confronto con quelli disponibili nella letteratura scientifica, le metodologie legate al prelievo e studio dei resti carpologici e antracologici in un determinato contesto archeologico dovrebbero essere quanto più possibile standardizzate su procedimenti universalmente riconoscibili e accettabili. Per questo motivo presso il PrEcLab le procedure adoperate per le analisi dei macroresti vegetali sono frutto di ricerche e collaborazioni con altri enti del settore (Cooperativa di ricerche archeobiologiche ARCO, Laboratorio di archeobotanica del museo archeologico del finale) con il preciso scopo di creare una metodologia precisa e univoca per lo studio di questa disciplina.
Metodologia
Dal punto di vista metodologico, la prima fase da intraprendere per un’analisi archeobotanica è il prelievo di campione dal sito archeologico. In teoria il campionamento di un sito archeologico dovrebbe avvicinarsi quanto più possibile ad un campionamento totale. Va ricordato infatti che non esite un contesto archeologico ideale o migliore per lo studio dei resti botanici, ma piuttosto una serie di contesti che per la loro specificità (buche, fosse, focolari, forni, latrine, pozzi, recipienti, strati di frequentazione e di attività antropiche) risultano potenzialmente idonei a produrre dati. Ogni contesto è a se stante e produce di conseguenza una serie di informazioni molto diverse rispetto ad un altro. Questo è però raramente attuabile se non impossibile, sia per motivi di tempo che per la grande energia richiesta. Per tale motivo si procede seguendo un preciso protocollo che permette di ottenere dati quanto più possibile precisi e numerosi.
Campionamento
Durante lo scavo, al fine di svolgere analisi carpologiche e antracologiche, ogni Unità Stratigrafica deve essere campionata: quando si indaga un contesto di grandi dimensioni si procede al prelievo di una serie di campioni da varie zone dello strato indagato (se necessario si può procedere alla suddivisione dell’area in una griglia di quadrati, prelevando una determinata quantità di sedimento da ognuno di essi). Il quantitativo di sedimento da prelevare varia a seconda del contesto, ma generalmente non va oltre i 12 l. Per quanto riguarda invece i piccoli contesti (come buche di palo o punti da fuoco), dovrebbe essere prelevato il sedimento nella sua totalità.
Flottazione
I campioni prelevati devono essere poi sottoposti ad un processo che porta all’isolamento dei resti carpologici e antracologici dal sedimento terroso. Tale processo può essere ottenuto in vari metodi, tra i quali il più veloce risulta essere la flottazione; tale pratica, tuttavia, richiede la presenza di un particolare macchinario (definito appunto macchina per la flottazione) che permette di far arrivare in laboratorio esclusivamente i materiali che devono essere studiati. Dal momento che attualmente il PrEcLab non dispone di tale strumentazione, per le nostre analisi si è optato per la tecnica del lavaggio del sedimento con acqua su setacci al fine di rimuovere la parte terrosa del sedimento. Per questa procedura il laboratorio utilizza setacci di diametro 40 cm a maglia di 0,5 mm i quali permettono di conservare anche i resti più piccoli. A seguito di tale procedura si procede all’asciugatura dei campioni che verranno poi suddivisi in frazioni con granulometria simile (7-4-2-1 e 0,5 mm); tali frazioni verranno poi vagliate allo stereomicroscopio. Durante la vagliatura tutti i resti vegetali vengono prelevati dal residuo del sedimento lavato. Terminata questa fase, si procede all’identificazione della famiglia, genere e dove possibile della specie del resto.


Identificazione
L’identificazione dei macroresti è possibile grazie alla consultazione di atlanti e collezioni di confronto carpologiche e antracologiche/xilologixche. Almomento, per le analisi archeobotaniche svolte presso il PrEcLab, oltre agli atlanti presenti nelle varie biblioteche del nostro ateneo, si stanno utilizzando le collezioni di confronto di due enti con cui è attiva una collaborazione: il Laboratorio di Archeobiologia dei Musei Civici di Como e il Laboratorio di Archeobotanica del Museo Archeologico del Finale di Finalborgo, ma è già in progetto la creazione di una collezione di confronto carpologica presso il nostro laboratorio che prevederà per il recupero dei campioni anche il contributo di vari orti botanici tra cui l’Orto Botanico Città Studi.
Al momento presso il PrEcLab sono in corso numerose ricerche che prevedono l’analisi dei resti carpologici provenienti da vari siti dell’Italia centro-settentrionale. Questi studi sono legati a progetti di tesi di Laurea o altre ricerche svolte in collaborazione con le varie Sovrintendenza e in alcuni casi con altre cattedre universitarie.
Studi in corso
- Studio dei resti carpologici del sito di Castelseprio (VA).
- Studio dei resti carpologici provenienti dal sito Grotta Castel Corno (TN).
- Studio dei resti carpologici del sito dell’Età del Bronzo in località Castello del comune di Caspoggio in Valmalenco (SO)in collaborazione con la SABAP delle province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese, il CST dell’Università degli Studi di Bergamo e il MVSA (Museo Valtellinese di Storia e Arte di Sondrio).
- Studio dei resti carpologici del sito dell’Età del Bronzo Antico in località Prato della Chiesa del comune di Ballabio (LE) in collaborazione con SABAP delle province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese.
Studio dei resti carpologici provenienti da Colombare di Negrar in Valpolicella
Attualmente il PrEcLab è impegnato nelle analisi archeobotaniche del sito preistorico e protostorico delle Colombare di Villa, a Negrar di Valpolicella, indagato dalla cattedra di Preistoria e Ecologia Preistorica di Unimi, sotto la direzione del Prof. Umberto Tecchiati.
Al momento per questo sito sono state effettuate analisi polliniche presso il Laboratorio di Palinologia e Paleobotanica del Dipartimento Scienze della Vita dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, carpologiche in quattro dei saggi (saggi 4, 5, 9 e 15), e antracologiche in un unico saggio (saggio 15). Tuttavia, sono stati prelevati campioni di sedimento anche dagli altri saggi indagati e per quelli analizzati solo dal punto di vista carpologico si è provveduto all’isolamento dei carboni per future analisi antracologiche.
Risultati delle analisi alle Colombare
Unendo i dati provenienti da queste analisi è stato possibile comprendere come l’ambiente circostante fosse caratterizzato da un’elevata biodiversità (si arriva infatti a un massimo di 75 specie individuate dalle analisi polliniche in saggio 4) e che nei pressi del sito venisse praticata l’agricoltura principalmente di specie cerealicole (farro, frumento e orzo), le quali poi venivano probabilmente lavorate all’interno del sito (sono state rinvenuti frammenti di spighette e cariossidi carbonizzate, forse frutto di procedure di tostatura dei cereali utilizzate per la decorticaizione).
Le analisi hanno inoltre permesso di testimoniare la raccolta e il consumo di frutti spontanei, come le nocciole (Corylus avellana) e l’uva. La vite, sebbene sia in questo periodo ancora una specie selvatica (Vitis vinifera ssp. sylvestris), non coltivata dall’uomo, è stata individuata sia in forma di vinaccioli combusti che di granuli pollinici questi in particolare rinvenuti in alte percentuali, in modo particolarmente insolito per un sito archeologico, andando a testimoniare una probabile vicinanza di questa pianta al sito.
I dati archeobotanici ottenuti permettono anche di vedere come l’ambiente e le pratiche dell’agricoltura e della raccolta di frutti spontanei si siano in parte modificate durante le varie fasi di popolamento dell’insediamento, sebbene ulteriori studi in senso diacronico risultino necessari per capire con maggiore certezza quanto queste variazioni fossero effettivamente marcate.
Ovviamente i dati ottenuti risulteranno più precisi quanti più campioni e saggi verranno analizzati, per questo motivo le analisi stanno continuando. Le specie individuate nei saggi analizzati saranno concordi con quelli dei saggi ancora da studiare? Erano presenti aree predisposte alla lavorazione dei cereali nell’insediamento? Queste sono alcune delle domande a cui si cercherà di dare risposta con le future analisi archeobotaniche.